PSG-INTER

Dopo un cammino incredibile è arrivata l'ora di scendere in campo per l'ultima partita della massima competizione europea: è l'ora della finale della UEFA Champions League 2024/25. Una sfida inedita, una squadra mai incontrata in appuntamenti ufficiali. L'attesa è finita, PSG-Inter si gioca questa sera alle 21:00 a Monaco di Baviera.

IL PROGRAMMA DELLA GIORNATA PER I TIFOSI

11:00

Apertura del Fan Meeting Point dell'Inter

16:00

Invito a dirigersi verso lo stadio

17:00

Apertura della "Festplanade" allo stadio

17:00

Apertura cancelli

21:00

Calcio d'inizio

Il punto di ritrovo per i tifosi dell'Inter a Monaco di Baviera sarà Odeonsplatz, una piazza nel centro della città.

📍 Posizione: Odeonsplatz (apri in Google Maps)

🕚 Sabato 31 maggio dalle 11:00 alle 18:00

🎫 L'area è aperta a tutti i tifosi dell'Inter! I possessori dei biglietti per la partita avranno la priorità nel caso in cui il Fan Meeting Point raggiunga la capienza massima.

Tieni a portata di mano il tuo biglietto elettronico nell'app UEFA Mobile Tickets.

🔵 La Fan Zone Inter scalderà i cuori nerazzurri con un ricco programma di intrattenimento: performance di artisti, musica dal vivo, gadget e la presenza di Legend!

Leader, trascinatore e assoluto protagonista dell’incredibile cammino nerazzurro in Champions League: tra prestazioni enormi, record e premi MVP, Lautaro Martinez ha guidato la squadra verso la finale di Monaco di Baviera. La storia del capitano nerazzurro in questa Champions parte da lontano e si racconta attraverso gol decisivi e traguardi storici che lo hanno visto scalare classifiche e diventare il miglior marcatore nerazzurro nella competizione grazie ad un mix di sacrificio, grinta e abnegazione. Dal primo minuto alla corsa contro il tempo per essere presente e decisivo nella semifinale di ritorno contro il Barcellona, il suo percorso è qualcosa di incredibile. È lui il protagonista del Matchday Programme della finale contro il PSG.

"Sono molto orgoglioso di questa squadra, ci siamo guadagnati il rispetto di tutti. È importante essere arrivati a questo livello: ora vogliamo affrontare al meglio questa partita che è importantissima, godercela e dare tutto. La finale la viviamo con intensità, ci siamo preparati al meglio perché questa è la partita più importante della stagione. Dobbiamo essere tranquilli e bravi a curare ogni dettaglio per essere pronti a fare una grandissima gara contro una squadra molto forte".

Nove gol segnati come solo Crespo nella storia nerazzurra ha saputo fare in una singola edizione del torneo. Lautaro è stato anche nominato quattro volte MVP dalla UEFA e ci ha svelato il suo gol più importante:

"Tra i nove gol segnati quello contro lo Sparta Praga credo sia stato il più importante. Era una partita chiusa in un campo duro ed è stato un gol difficile e prezioso".

Squadra, generosità, sacrificio e mentalità: il percorso nerazzurro verso Monaco di Baviera passa da qui:

"Per noi è sempre importante trasmettere la mentalità vincente che abbiamo costruito in questi anni perché quando uno comincia a vincere vuole continuare a farlo ma rivincere è la cosa più difficile. Andiamo in campo con questo spirito poi ogni gara è diversa ma le finali si devono giocare al massimo".

Leader, trascinatore e assoluto protagonista dell’incredibile cammino nerazzurro in Champions League: tra prestazioni enormi, record e premi MVP, Lautaro Martinez ha guidato la squadra verso la finale di Monaco di Baviera. La storia del capitano nerazzurro in questa Champions parte da lontano e si racconta attraverso gol decisivi e traguardi storici che lo hanno visto scalare classifiche e diventare il miglior marcatore nerazzurro nella competizione grazie ad un mix di sacrificio, grinta e abnegazione. Dal primo minuto alla corsa contro il tempo per essere presente e decisivo nella semifinale di ritorno contro il Barcellona, il suo percorso è qualcosa di incredibile. È lui il protagonista del Matchday Programme della finale contro il PSG.

"Sono molto orgoglioso di questa squadra, ci siamo guadagnati il rispetto di tutti. È importante essere arrivati a questo livello: ora vogliamo affrontare al meglio questa partita che è importantissima, godercela e dare tutto. La finale la viviamo con intensità, ci siamo preparati al meglio perché questa è la partita più importante della stagione. Dobbiamo essere tranquilli e bravi a curare ogni dettaglio per essere pronti a fare una grandissima gara contro una squadra molto forte".

Nove gol segnati come solo Crespo nella storia nerazzurra ha saputo fare in una singola edizione del torneo. Lautaro è stato anche nominato quattro volte MVP dalla UEFA e ci ha svelato il suo gol più importante:

"Tra i nove gol segnati quello contro lo Sparta Praga credo sia stato il più importante. Era una partita chiusa in un campo duro ed è stato un gol difficile e prezioso".

Squadra, generosità, sacrificio e mentalità: il percorso nerazzurro verso Monaco di Baviera passa da qui:

"Per noi è sempre importante trasmettere la mentalità vincente che abbiamo costruito in questi anni perché quando uno comincia a vincere vuole continuare a farlo ma rivincere è la cosa più difficile. Andiamo in campo con questo spirito poi ogni gara è diversa ma le finali si devono giocare al massimo".

L'URLO DI FRATTESI

IL CAPOLAVORO DIPINTO

SOMMER UNIVERSALE

LA NOTTE STELLATA DI LAUTARO MARTINEZ

IL TEMPO DEGLI EROI

WALTER SAMUEL

Nel giorno della finale contro il PSG, il Matchday Programme ospita una Leggenda nerazzurra che 15 anni fa era in campo a giocarsi l'ultimo atto della massima competizione europea: "The Wall", Walter Samuel.

"Affrontare una partita del genere è un'emozione unica, per l'importanza e la bellezza della competizione. Arrivare in fondo significa aver compiuto un cammino importante e superato avversari di valore. Nella finale poi ci vuole tutto: grinta, cuore ma soprattutto tanta concentrazione per curare ogni dettaglio. Da giocatore per prepararmi a sfide così significative cercavo di rimanere il più tranquillo possibile, poi una volta che si scende in campo si pensa solo a dare tutto per raggiungre l'obiettivo".

Qual è la partita che ti ha impressionato di più del percorso europeo di questa Inter?

"Mi sono piaciute le due partite contro il Barcellona, la seconda in particolare perchè nel finale l’Inter ha dato una dimostrazione della forza del gruppo e di essere una squadra capace di crederci fino in fondo e non mollare mai. Tutti i ragazzi hanno dato un contributo molto importante".

LA CONFERENZA STAMPA: LE PAROLE DI INZAGHI

"Noi dobbiamo andare in campo con la determinazione e la voglia di vincere questa partita, ce la giocheremo con le nostre armi come abbiamo sempre fatto. Ci dà grande fiducia il percorso che abbiamo fatto, è stato pieno di insidie ma siamo arrivati fino a qui e non vogliamo fermarci".

L'AVVERSARIO | PSG

Il PSG torna a giocarsi la finale di UEFA Champions League cinque anni dopo la sconfitta contro il Bayern Monaco mentre il tecnico, Luis Enrique, ha vinto il trofeo nel 2014/15, alla sua prima stagione alla guida del Barcellona. Il modulo più adottato dai francesi è il 4-3-3 con un tridente variabile che ha in Dembelé la sua arma migliore in termini di gol con 33 reti segnate sin qui grazie anche al supporto di Kvaratskhelia, Doué e Barcola e la spinta di Hakimi e Mendes. Luis Enrique ha trovato il suo regista ideale in Vitinha che grazie ad un mix di tecnica, visione di gioco e palleggio gestisce i ritmi della squadra. L'allenatore spagnolo predilige la costruzione dal basso, che parte dallo stesso Donnarumma e sfrutta i movimenti dei centrali Marquinhos e Pacho che molto spesso sono i primi ad alzare la squadra con l'ecuadoriano che è l'uomo più utilizzato in questa stagione con 4.013' in campo.

I CONVOCATI DI LUIS ENRIQUE

1. Gianluigi Donnarumma
2. Achraf Hakimi
3. Presnel Kimpembe
5. Marquinhos
7. Khvicha Kvaratskhelia
8. Fabian Ruiz
9. Gonçalo Ramos
10. Ousmane Dembélé
14. Désiré Doué
17. Vitinha
19. Lee Kang-In
21. Lucas Hernandez
24. Senny Mayulu
25. Nuno Mendes
29. Bradley Barcola
33. Warren Zaïre-Emery
35. Lucas Beraldo
39. Matvey Safonov
49. Ibrahim Mbaye
51. Willian Pacho
80. Arnau Tenas
87. João Neves


TALES OF CHAMPIONS:
RACCONTI EUROPEI A TINTE NERAZZURRE

L’avventura europea dell’Inter in questa stagione spesso ha oltrepassato i confini della storia, arrivando a somigliare sempre di più a una saga eroica di tempi dimenticati, come un ciclo mitologico in cui cavalieri, battaglie e creature fantastiche entrano nella vita quotidiana degli uomini comuni, rendendoli indimenticabili eroi senza macchia. Una serie di racconti straordinari, in cui realtà e meraviglia convivono, come nelle grandi storie del passato: Tales of Champions, cronache di Champions League.

THE SHIP AND THE SNAKE

La prima novella, quella che ha inaugurato la saga del Biscione nerazzurro, in grado di attraversare l’Europa in lungo e in largo. Uno scontro marino, contro una nave che da anni solca le acque europee con grande forza e tecnica nella navigazione. Un’imbarcazione inglese, quella del Manchester City, con a bordo un temibile norvegese: Erling Braut Haaland, implacabile bomber già affrontato sulle rive del Bosforo in una grande battaglia di 15 mesi prima. Eppure l’Inter sa adattarsi, trasformarsi e affrontare l’avversario: il Biscione diventa Jǫrmungandr, serpente della mitologia norrena in grado di evitare i colpi del dio Thor, respinge l’attacco e affronta lo scontro alla pari. A Manchester non ci sono vincitori, ma i nerazzurri lanciano un avvertimento, che si può leggere nel premio di MVP vinto da Nicolò Barella e nel sorriso beffardo di Francesco Acerbi rivolto verso Haaland a fine partita: questa Inter si batterà contro tutti.

THE RED STAR HUNTING

Nei miti le storie possono essere molto diverse tra loro, apparentemente quasi scollegate: alcune si svolgono in terre lontane e affascinanti, altre hanno luogo nel proprio castello. Il secondo racconto di questa saga ha diversi protagonisti e un unico avversario: una Stella Rossa da conquistare all’interno della fortezza di San Siro. Un’avventura che vede il Biscione nerazzurro sferrare i primi colpi della sua campagna: un capolavoro di Calhanoglu, i gol di Arnautovic e Taremi, la prima rete della campagna europea di Lautaro, in presenza del suo antico maestro d’armi Diego Milito. A brillare però è la stella di Mehdi, imprendibile come un antico cavaliere persiano: una rete, due assist e il premio di Man of The Match. Primi gol, primo clean sheet e prima vittoria: la fortezza è stata difesa, si può ricominciare a viaggiare.

INTO THE WOODS

Tra le montagne, i fiumi e le foreste della Svizzera sorge una città difesa da una guardia giallonera. Berna è la città degli orsi, come suggerisce l’etimologia del suo nome: animali nobili e potenti, in grado di colpire in maniera inaspettata. Nel freddo di una notte bernese il Biscione fatica a sconfiggere lo Young Boys sul terreno dello Stadion Wankdorf, storico impianto entrato nell’immaginario collettivo per un’incredibile finale Mondiale nel 1954. Bisogna muoversi con audacia per riuscire a spuntare fuori all’improvviso dall’erba sintetica del terreno di Berna: qualità che non manca a Marcus Thuram. Un colpo fulmineo, quando pareva che non ci fosse più tempo a disposizione: un colpo decisivo, che ha permesso all’Inter di collezionare un altro successo.

A TALE OF TWO CITIES

Milano e Londra, Biscione e Gunners, Inter e Arsenal: la quarta storia di questo ciclo mette di fronte due grandi avversari, diversi eppure con lo stesso spirito vincente. Per affrontare una squadra di Cannonieri, forgiati nell’acciaio e nel fuoco, ci vuole un’unione irriducibile: quella messa in campo dai nerazzurri a San Siro in una notte di inizio novembre. La sfida è difficile, tesa, ma l’Inter resiste alla pressione degli inglesi e reagisce. Per domare un fuoco ci vuole il ghiaccio di Calhanoglu, che sigla l’1-0 su rigore sul finire del primo tempo. È il colpo decisivo: il Biscione soffoca nelle sue spire ogni attacco avversario. Tutti contribuiscono, si difende su ogni pallone senza tregua, fino al triplice fischio finale. Siamo a metà della League Phase, ma uno degli avversari più forti è stato sconfitto: il bello deve ancora arrivare.

IN THE HEART OF THE CITY – ON THE RIVERBANKS

Due avversari tedeschi, il Lipsia e il Leverkusen, creature di grande forza ed energia, punti da conquistare per chiudere l’anno 2024 con delle gioie importanti. Il primo è un toro rosso, giovane e potente, pieno di grinta, che si aggira per la città di Milano: serve un’altra grande prova del Biscione per difendere ancora una volta la città. A San Siro la partita viene giocata con grande concentrazione e applicazione: il serpente colpisce con il suo veleno nel primo tempo, con una punizione di Dimarco deviata in porta da Lukeba, difensore del Lipsia. I tori cercano di reagire, senza però riuscire a scalfire il Biscione, che subisce un solo tiro in porta respinto dal guardiano Sommer.

Una caratteristica che sembra confermata a Leverkusen, sulle rive del Reno, il grande fiume, dove i leoni del domatore Xabi Alonso aspettano l’arrivo dei nerazzurri. Eppure nonostante una prestazione ancora una volta molto solida l’Inter deve cedere per la prima e finora unica volta: le squame del Biscione sono intaccate da una rete di Mukiele all’ultimo minuto. Il primo gol subito, il solo di una League Phase che rimane comunque decisamente positiva.

THE CASTLE OF THE NORTH

Praga è dominata da un castello che veglia sulla città dall’alto di una collina. Un luogo dove nel corso dei secoli si sono viste idee, battaglie, rivoluzioni, correnti artistiche influenti. È gennaio, il freddo è pungente: non è facile conquistare una roccaforte così ben difesa. Ci vuole un colpo da campione, una mossa frutto di coordinazione e tecnica: un gol da Lautaro Martinez, capitano e trascinatore dei nerazzurri contro lo Sparta. La fortezza è conquistata: l’inverno è arrivato, ma anche l’Inter non si è fatta attendere.

THE CLOSED GATES

Manca solo un ultimo racconto per chiudere la prima serie di questa saga: il Biscione deve difendere il suo castello dall’assalto di un principe bello e valoroso, vestito di bianco e rosso. Il Monaco si gioca la possibilità di continuare la sua avventura europea, esattamente come l’Inter, che punta a vincere ancora per concludere la League Phase nelle prime quattro posizioni. L’ultima giornata è un vortice di emozioni, con tutti i protagonisti della Champions League in campo contemporaneamente: in una notte di stelle quella di Lautaro Martinez brilla più di tutte le altre. Il capitano segna tre gol, piega il Monaco e raggiunge a quota 17 il leggendario Sandro Mazzola nella classifica dei migliori marcatori della storia dell’Inter in Champions League. 8 partite, sei vittorie, un pareggio, un solo gol subito e 19 punti totali: gli uomini di Inzaghi chiudono al quarto posto e volano agli ottavi, verso nuove imprese straordinarie.

THROUGH THE WATERS OF THE NAVIGLI

La saga diventa ancora più epica nella fase ad eliminazione diretta. Il viaggio inizia tra le acque dei canali di Rotterdam, dove un piccolo vascello corsaro si muove silenziosamente ma a grande velocità. Il Feyenoord manovra in acque conosciute e il Biscione deve adattarsi: muta la sua pelle, cambia e si trasforma per necessità. In porta c’è Josep Martinez, Alessandro Bastoni gioca da esterno, entrambi fanno benissimo: in avanti ci sono Thuram e Lautaro, i cavalieri d’assalto dell’Inter. Sono proprio loro a firmare un successo per 0-2: Tikus segna un grande gol, mentre il Toro diventa il miglior marcatore di sempre in Champions League. Siamo solo a metà strada: gli olandesi continuano a navigare, spingendosi fino ai Navigli, acque che avevano già solcato ai playoff e dove avevano già realizzato grandi imprese. L’Inter però non cambia atteggiamento: uno straordinario gol di Thuram sigilla la qualificazione, mentre un altro rigore perfetto di Calhanoglu regala la vittoria dopo che il Feyenoord aveva riportato in parità la contesa. Qui forse inizia un altro tipo di viaggio: ai quarti i nerazzurri dovranno passare da un’Arena in Baviera.

THE BAVARIAN ARENA

Una squadra in missione, un avversario tra i più difficili da affrontare in un’Arena apparentemente inespugnabile, che nessuno riusciva a conquistare da quattro anni. Il Bayern Monaco è una squadra speciale, costruita per un viaggio lungo, destinato a concludersi di nuovo in questo stadio. Anche l’Inter però ha lo stesso obiettivo: il Biscione sa come far male e rendersi pericoloso in velocità con i suoi attacchi mortiferi. Come quello lasciato da Lautaro Martinez nel primo tempo della sfida: un colpo che potrebbe essere letale per chiunque, ma non per i bavaresi, che nel finale trovano il gol di Thomas Muller, capitano di ventura protagonista di mille battaglie con la squadra di Monaco. Sembra finita in pareggio, ma il destino ha altri programmi: l’Inter torna davanti all’improvviso, Davide Frattesi segna la rete della vittoria all’88’, nello stesso identico istante in cui un famoso esploratore macedone aveva eliminato i bavaresi all’Arena quattordici anni fa. Un gol scritto nel cielo, un gol che vibra di commozione per Davide: manca ancora il ritorno, ma l’Inter parte in vantaggio.

Otto giorni più tardi il castello di San Siro è sferzato da un vento gelido, con la pioggia che cade incessantemente sul campo di battaglia. Il Biscione deve soffrire, deve resistere alla grande potenza dei bavaresi, scesi in Italia come un’indomita compagnia di lanzichenecchi. Milano resiste, fino al gol di Harry Kane, nobile guerriero d’Oltremanica alla ricerca di un trionfo per lungo tempo agognato. Il Bayern colpisce forte, l’Inter incassa e reagisce senza un attimo di tregua: ci vuole un altro gol dell’inarrestabile Lautaro per rimettere la sfida in parità, poi Benjamin Pavard decide il duello con un colpo di testa imprendibile. Un colpo di testa che sembra un tiro di bombarda, che abbatte la porta bavarese: la prima rete del francese con l’Inter, contro la squadra che l’ha visto protagonista per quattro stagioni. Il vento gioca un brutto scherzo e permette a Dier di segnare il 2-2, ma l’Inter ha l’energia per resistere ancora: è semifinale, la seconda in tre anni. Nella doppia sfida c’è l’avversario più difficile, in una grande classica cavalleresca: l’armata catalana del Barcellona.

UNDER CATALUNIA’S MOONLIGHT

Così in una notte di primavera il Biscione si ritrova in un luogo che conosce bene, eppure diverso: una città di mare, cattedrali infinite e mostri fantastici che addobbano le Ramblas. Il teatro della sfida non è il vecchio Camp Nou, dove ancora riecheggiano i rumori di un’antica battaglia, ma la collina del Montjuic, sulla quale splende la luna della Catalogna. L’atmosfera è quella giusta per cercare un’impresa: la fantasia al potere, la classe domina uno scontro fra titani. Ci vogliono 30 secondi perché Thuram sblocchi la partita con un meraviglioso colpo di tacco, poi un olandese diventa il padrone dell’incontro: al 21’ Denzel Dumfries rovescia il mondo blaugrana e porta l’Inter avanti per 2-0. Il Barcellona però è una confraternita di maghi e stregoni dai poteri soprannaturali: il giovane Lamine Yamal spacca la sfida e segna il 2-1, al quale segue il gol di Ferran Torres. Nella ripresa la volontà di Denzel si eleva al di sopra del razionale: l’olandese di testa segna il 3-2, che anticipa però un’altra magia di Raphinha. Finisce 3-3: la strada per Monaco è davanti alle due squadre, ma solo una potrà percorrerla passando da San Siro.

THE TEMPLE OF THE SNAKE

Forse un giorno i menestrelli di tutta Europa proveranno a comporre un poema intero per questo Inter-Barcellona. Qui davvero la leggenda entra con prepotenza nella storia di tutti i giorni: gli uomini diventano eroi, l’impossibile si realizza e gli spettatori sono testimoni di un miracolo. Perché il gol di Acerbi non è spiegabile, è il destino che si manifesta sul terreno di gioco di San Siro, dopo che il Biscione era stato cavalcato come sempre da capitan Lautaro Martinez, più forte del dolore, e da Hakan Calhanoglu, eroe in grado di sopportare e sconfiggere il silenzio assoluto in occasione del rigore. Eppure la legione blaugrana riesce sempre a rispondere, come già successo sei giorni prima: Eric Garcia e Dani Olmo riportano la sfida in parità, mentre Yamal danza imprendibile nella fortezza di San Siro. Il gol di Raphinha potrebbe concludere questa saga epica, che però ricomincia furiosa, con un turbinio di emozioni indescrivibili con la rete di Acerbi. Nei supplementari l’impresa è compiuta: ci vuole ancora Davide Frattesi, incursore letale, per spedire l’Inter direttamente a Monaco di Baviera. La finale è sigillata dalle mani di Sommer, guardiano diventato insuperabile contro ogni tipo di minaccia. Il diluvio bagna il trionfo dell’Inter, che torna nell’Arena bavarese già visitata in questa stagione.

THE FINAL CHAPTER

Ora l’ultimo capitolo di una storia fantastica, un mito che verrà tramandato nell’eternità: a Monaco l’Inter rivivrà emozioni già conosciute due anni fa, in Turchia, contro un Paris Saint-Germain determinato a trionfare. Sarà uno scontro bellissimo, che regalerà sensazioni indimenticabili a milioni di tifosi che portano il Biscione nel cuore: chissà se a Monaco di Baviera la leggenda invaderà di nuovo i confini della storia, secondo un destino che non ci è dato conoscere.

La settima volta per capire chi siamo. Non è un caso che l’Inter sia il Club italiano con più appeal letterario, musicale e cinematografico. Nel giorno della finale di Champions League numero sette della storia del Club, è utile mettere a fuoco i capitoli precedenti.

L’Inter del mago Herrera raggiunge nel 1964 per la prima volta la finale della neonata, o quasi, Coppa dei campioni, che fin lì annovera otto edizioni, cinque delle quali vinte dal Real Madrid. È la squadra leggendaria per eccellenza: Alfredo Di Stefano, Ferenc Puskas, Francisco Gento. Belli, vincenti, imbattibili. Almeno questa è l’impressione che ha un ragazzo di ventun anni che se li trova davanti nel tunnel prima della partita, Sandro Mazzola:

«Mi trovo anche Di Stefano, per me era come aver incontrato Dio. Lo guardavo e non mi muovevo. Suarez, più vecchio, mi batte la mano sulla spalla e mi dice 'Noi andiamo giocare la finale, tu vuoi stare qui a guardare Alfredo?'. Poi mi sono svegliato».

La palla rotola e quello che diventerà il baffo più famoso del calcio italiano si sveglia, eccome. Destro chirurgico pochi minuti prima dell’intervallo, e per i ventimila interisti arrivati in Austria con ogni mezzo inizia la festa, che prosegue con un gol di Milani nella ripresa. Felo accorcia, ma Mazzola completa l’opera con una doppietta. È il trionfo di Angelo Moratti, presidente vecchio stile e insieme modernissimo, di Helenio Herrera, che ha sostanzialmente inventato la figura moderna dell’allenatore, insieme istrione e rigorosissimo pianificatore. Un conducatòr, scriveranno i giornali italiani. Sono altri tempi e i dubbi di formazione non esistono o quasi, e l’undici interista si impara a memoria, come le poesie di Ungaretti. Sarti, Burgnich, Facchetti, Tagnin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Milani, Suarez, Corso. Il capitano è Armando Picchi, che solleva il trofeo. Nella notte del Prater brillano tutti, tranne uno forse. Jair, straordinaria ala destra brasiliana, ha una sola sfortuna: in Nazionale è chiuso da Garrincha, uno dei migliori giocatori di tutti i tempi. Ma all’Inter fa quello che vuole in campo: in quell’edizione di Coppa dei Campioni, Jair segna nei sedicesimi, nei quarti, andata e ritorno, in semifinale. Ma la finale la sbaglia, è forse il nerazzurro meno in forma. Dovrà farsi perdonare. Il passaggio del testimone intanto è completato. Dal grande Real alla grande Inter. Ma se vincere è difficile, ripetersi è difficilissimo. L’edizione successiva è un romanzo. L’Inter passa abbastanza agevolmente i primi turni. In semifinale c’è il Liverpool che all’andata in casa vince con un netto tre a uno. L’usanza dell’epoca è suonare a tutto volume successi pop a fine gara, e Anfield al fischio finale i supporter dei reds intonano a pieni polmoni “Oh when the saints go marching in”, dedicata al loro attaccante Ian St.John. A Sandro Mazzola quella canzone resta in testa. Torna in Italia, compra il disco, lo porta allo speaker di San Siro. “Mettila al fischio finale”, gli intima. L’Inter gioca il match perfetto: tre a zero, tre gol in cui c’è tutta un’epopea. La furbizia di Joaquin Peirò, la classe di Mario Corso, la potenza inumana di Giacinto Facchetti. Tre a zero, verdetto ribaltato, è di nuovo finale. La storia è pronta a ripetersi, e la canzone risuona beffarda a San Siro. Ad Anfield sono scaramantici e decidono di cambiare canzone. Nell’estate precedente Gerry and the Pacemakers, una band di Liverpool, aveva reinciso un vecchio successo degli anni Quaranta. “You’ll Never walk alone”. Da quelle parti, non ne faranno più a meno. Ci sono date scritte nel destino. Il 27 maggio del 1964 è un mercoledì, il 27 maggio del 1965 è un giovedì. Ciò che non cambia è che l’Inter gioca la finale di Coppa dei Campioni. Identica anche la tipologia di avversario: una squadra leggendaria plurivincitrice della coppa. Stavolta tocca al Benfica di Eusebio, la Pantera Nera, uno dei migliori calciatori della storia. L’esodo del popolo nerazzurro non è necessario: basta prendere il tram. La finale è a San Siro, ancora privo di copertura, e gli ottantamila presenti prendono volentieri la pioggia: sotto il diluvio l’Inter gioca un’altra finale. Il campo è pesantissimo, la palla fa fatica a rimbalzare. La tecnica dei portoghesi è limitata dal terreno, l’Inter è forse un po’ bloccata in campo dalla voglia di vincere davanti ai propri tifosi. La decideranno, come spesso succede, gli episodi. È sufficiente un tiro, un po’ sporco, prima della fine del primo tempo. La palla schizza via dalle mani del disperato Costa Pereira, portiere dei portoghesi, e finisce in fondo alla rete. A calciare è stato il numero sette dell’Inter, il brasiliano che dodici mesi esatti prima aveva giocato una finale un filo sottotono: Jair. Nella morra cinese europea, la Freccia Nera batte la Pantera Nera. Uno a zero. L’undici campione: fate Bedin per Tagnin, un cambio quasi metrico, e Peirò per Milani. Per il resto, copia e incolla dall’anno precedente. Ancora loro: Sarti Burgnich Facchetti… Questa volta la litania la conoscono tutti. Un altro successo in Coppa Campioni contro la squadra più forte del mondo: il destino interista ancora una volta mantiene la sua natura. Non è quella di vincere sempre, ma, quando si vince, si entra nella storia dalla porta principale...

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